Coworking al Gattaglio, molto più di uno spazio di lavoro

Dove prima c’era un magazzino, ora ci sono scrivanie, luce, colore, un’area relax, uno spazio condiviso per lavorare e studiare insieme. È il nuovo coworking dello storico centro sociale Gatto Azzurro nel quartiere Gattaglio. Ma non chiamiamolo solo coworking, perché l’offerta è differenziata e si adegua alle esigenze in divenire, un nuovo modello di ‘coworking di prossimità’ aperto ai cittadini e immerso in una rete di relazioni.

Dopo settimane di sperimentazione e migliorie per renderla più funzionale possibile, è ora ufficialmente aperta al Gattaglio una sala coworking, dove ai liberi professionisti in cerca di postazioni a basso costo, agli smart worker desiderosi di condividere costi, contatti e idee, si affiancano studenti, in una tendenza in atto da tempo e accelerata dal Covid, tra nuove esigenze private e politiche urbane.

La sperimentazione di un coworking al Gattaglio è un esito del percorso formativo ‘Lavoro Vita Benessere. Work life balance e parità di genere’, promosso da Comune di Reggio Emilia, Legacoop Emilia Ovest, CGIL Reggio Emilia, Cisl Emilia Centrale e sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna, percorso che il Comune di Reggio ha deciso di proseguire con uno studio sperimentale per i servizi di prossimità, nell’ambito delle attività del Laboratorio aperto di Reggio Emilia finanziate con Fondi Europei Por-fesr.

Perché immaginarsi un coworking dentro un centro sociale?  Lo abbiamo chiesto a due dei protagonisti di questa nuova sfida: Matteo Rinaldini, docente di Sociologia del lavoro e dell’organizzazione dell’Università di Modena e Reggio Emilia, a capo del progetto sperimentale, e Alice Grazioli, presidente di Rigenera, la cooperativa sociale la cui storia da un paio d’anni si intreccia con quella del centro sociale Gatto Azzurro, di cui anima il cartellone di attività culturali e gestisce il bar.

Prof Rinaldini, ci racconta com’è nata l’idea?

“Va detto come premessa che questa idea poteva nascere solo a Reggio Emilia, che ha una caratteristica unica: una rete di centri sociali, spazi collaborativi pubblici, estesa su tutto il territorio cittadino. Il coworking è un modello lavorativo che si basa essenzialmente sulla condivisione di spazi, che richiede uno spazio di terzi, diverso dall’abitazione e dalla sede aziendale, che però dev’essere non troppo lontano dal luogo in cui si abita o si vive. La rete dei centri sociali di Reggio può essere pensata come un’infrastruttura già disponibile per un coworking ‘diffuso’ e di prossimità.

L’idea originale che ha attivato questo progetto è nata dall’osservazione di un fenomeno spontaneo:  nella lunga emergenza pandemica, che ha costretto molti settori a convertirsi in modalità ‘smart’ e ad adottare il lavoro a distanza, appena si è potuto rimettere il naso fuori di casa, i centri sociali hanno cominciato ad ospitare persone che, obbligate al lavoro da remoto, si mettevano a lavorare al tavolo del bar.

Una cosa è un fenomeno spontaneo, un’altra è verificare le condizioni e costruire un luogo adeguato ad ospitare questo tipo di lavoratori. La sfida che abbiamo raccolto con questa ricerca è capire se il centro sociale potesse effettivamente diventare un ambiente fisico e sociale adeguato ad ospitare le diverse tipologie di lavoratori da remoto.

Ci sono molti casi in cui le amministrazioni hanno messo in atto delle politiche di costruzione di coworking diffuso nel tessuto urbano, Reggio a differenza di altre ha già una rete infrastrutturale, quella dei centri sociali, con una loro storia e identità, in cui è possibile innestare questa nuova funzione, traendone benefici per le persone, per il quartiere e per la città intera”.

Per quali lavoratori il coworking del Gattaglio è una soluzione?

“Abbiamo individuato almeno due differenti tipologie di lavoratori: si tratta degli smart worker e dei freelance, i primi sono lavoratori dipendenti  che svolgono il proprio lavoro al di fuori delle mura aziendali ma che non necessariamente vogliono lavorare a casa; ci sono poi i freelance, una popolazione, sempre più grande, di liberi professionisti di tipo ‘moderno’ (cioè non  avvocati, commercialisti, medici, ma grafici, copywriter, consulenti di vario genere, lavoratori digitali) che non hanno un ufficio aziendale e ricercano un luogo di lavoro diverso dal proprio domicilio.

La ricerca condotta al Gattaglio ha mostrato che per entrambi l’abitazione è limitante e fonte di criticità, come l’isolamento sociale, mentre il centro sociale vicino a casa può essere la soluzione ideale al bisogno di chi cerca uno spazio di lavoro flessibile, ma anche un luogo stimolante, dove interagire con altre persone e realtà diverse”.

Come si è svolta la ricerca?

“Si è trattato di una ricerca-azione, cioè di un’attività di co-progettazione strettamente connessa al contesto specifico, che ha visto la partecipazione attiva di tutti i soggetti coinvolti, pubblici, privati, utenti lavoratori e studenti, che ha previsto all’inizio dei living lab, cioè laboratori che hanno messo al centro gli stakeholder e da cui sono emerse dal basso le caratteristiche dello spazio, in rapporto al contesto e agli utenti.

Poi siamo passati alla sperimentazione vera e propria sul campo, con l’allestimento dello spazio e ospitando dei lavoratori, dai quali ricevere un feed-back; due focus group hanno successivamente analizzato i materiali, per ‘mettere a terra’ il progetto e dare delle indicazioni per la sua sostenibilità nel tempo e la sua replicabilità in altri luoghi, ovvero in altri centri sociali.

Formalmente il nostro ingaggio è finito, per noi è stato davvero molto interessante, ma il grosso adesso lo fa Alice con la cooperativa e con la Casa di quartiere”.

Alice, la Casa di quartiere è stata lungimirante ad accogliere questa sfida, com’è andata, come sta andando? 

“Tra gli obiettivi che ci eravamo prefissati nella co-progettazione della Casa di quartiere, c’era già quello di dare una nuova veste alla sala del secondo piano, sottoutilizzata o usata per lo più come deposito, e pensavamo ad un’aula studio, quando la richiesta di partecipare al progetto ‘Vita lavoro benessere’ e alla ricerca sperimentale ci ha aperto una nuova originale possibilità.

Tutto il lavoro che è stato fatto dall’Università, anche sul layout degli spazi, ha sciolto i dubbi iniziali ed ha consentito di rendere lo spazio confortevole e adeguato ad ospitare postazioni di lavoro.

Abbiamo poi scelto di valorizzare questa opportunità anche dal punto di vista economico, per poter affrontare nel tempo la gestione e la cura dello spazio. Per gli studenti continua ad essere gratuita, ma in cambio se possibile di un supporto alle attività della Casa di quartiere”.

Alice spiegaci cos’è Rigenera, come siete arrivati al Gattaglio?

Rigenera nasce nel 2018 e si occupa prevalentemente di favorire l’inserimento lavorativo di persone con fragilità, all’inizio nella lavorazione di materiali plastici e meccanici per aziende del territorio e poi ha cominciato a collaborare con diverse realtà della zona ovest di Reggio Emilia come le scuole, il centro sociale Carrozzone e SD Factory, sui rapporti di prossimità.

Nel 2021 abbiamo deciso di partecipare al bando del Comune per la trasformazione dei centri sociali in Case di quartiere, in partnership con l’aps che gestisce il Gatto Azzurro. Da questo incontro e dalla sua grande disponibilità a collaborare e ad aprirsi a nuove attività, è nata la possibilità per la cooperativa di gestire l’agenda culturale del centro sociale e anche dello spazio bar, in una nuova ottica inclusiva e sociale”.

Cosa piace di più del coworking del Gattaglio?

“Ad oggi abbiamo già postazioni prenotate, molte richieste di informazioni e persone in prova. Possiamo dire che quello che piace è proprio il fatto di essere inseriti nel contesto di un centro sociale, la dimensione di informalità tra il bar e la bocciofila, tra i soci del circolo. Siamo anche favoriti dalla posizione, così vicini al centro e all’università. 

C’è poi anche il fatto che, dato che questa non è la nostra attività principale, abbiamo un approccio più flessibile e aperto alle richieste, rispetto ad altri gestori che lo fanno come mestiere.

Le relazioni, la partecipazione, l’interazione tra persone sono l’essenza del centro sociale ed è quello che fa la differenza rispetto ad altri coworking. Ad esempio un coworker a pochi giorni dal suo insediamento si è offerto di organizzare dei corsi di lingua, cioè si è messo a disposizione,  un altro coworker ci ha sistemato un problema con la stampante. Questo è uno degli obiettivi: mettersi in rete e scambiare risorse, non si tratta solo di offrire uno spazio, è creare una comunità”. 

“Alice sottolinea un aspetto importante – rinforza il prof Rinaldini – normalmente i coworking attivati su iniziativa pubblica sono pensati in un edificio riqualificato e convertito alla funzione di coworking o di spazio collaborativo, dentro un progetto di rigenerazione urbana che richiede anche l’immissione di risorse per creare quelle attività e relazioni che danno qualità al coworking, una risorsa che i centri sociali già hanno.

Nel percorso di co-progettazione questo aspetto è stato valutato da tutti i partecipanti come un punto di forza ed è un tratto specifico e caratteristico di Reggio Emilia”.

Prof, da sociologo, la remotizzazione del lavoro che scenari apre sul futuro?

“Il lavoro da remoto, agile o smart è entrato nelle nostre vite in pandemia e non ne uscirà, nel futuro non sarà la stessa cosa, sia nei modi che quantitativamente, ma si è sfondato il muro ed è ora generalmente accettata l’idea che si può lavorare fuori dall’ufficio con maggiori benefici, in termini di conciliazione vita lavoro ed anche di redditività. Questo rimarrà un carattere permanente del nostro modo di lavorare, riguarderà alcuni, non tutti, ed in modo parziale, non totale – mi auguro anzi che siano le soluzioni ibride a prevalere, perché la remotizzazione totale genera più criticità.

È un cambiamento che migliora la qualità della vita delle persone, è un cambiamento per le imprese e la loro organizzazione, ma anche per le città le implicazioni sull’amministrazione pubblica in ambito urbano e non urbano sono enormi. Va dato atto all’assessore de Franco di aver intuito la portata del progetto, che parla ai lavoratori e alle imprese, ma soprattutto a chi amministra, dimostrando che ai policy maker esercitare un ruolo attivo ‘conviene’ più che dover gestire e riparare criticità”.

Quello del Gattaglio quindi è un modello replicabile, come?

“La realizzazione di reti diffuse di coworking sui territori riguarda città di tutto il mondo, che vedono in questo la possibilità di realizzare modelli di sviluppo urbano più sostenibili, quella di Reggio è del tutto particolare perché può fondarsi sulla rete esistente dei centri sociali.

La sperimentazione del Gatto Azzurro ha tante buone ragioni perché funzioni e trovi continuità, per sé e per la rigenerazione del quartiere, ma il suo potenziale si esprime pienamente se esportata in altri centri sociali. Cosa non facile, dato che ciascun centro ha le sue peculiarità ed è più o meno ‘pronto’, ma solo se l’esperienza del Gattaglio diventa coworking diffuso urbano si eleva a modello originale ed unico rispetto ad altre esperienze in giro nel mondo, in grado di influire positivamente sulla città, se integrata nelle strategie di sviluppo urbano”.

Qualcuno potrebbe chiedersi però quanto ci sia bisogno in una città medio-piccola come Reggio…

“I numeri parlano chiaro: una ricerca recente di Unimore sullo smart working in provincia – 1200 questionari somministrati ad impiegati del settore metalmeccanico – ci ha mostrato che il 99% di queste persone si muove in auto, per spostamenti di 40 minuti – quaranta! – a Reggio Emilia! A Milano la percentuale scende al 50% con tempi di percorrenza di poco superiori.

Si capisce che in questo contesto una rete diffusa di coworking, sviluppata in una dimensione di prossimità in linea con il tema della città entro 15 minuti, può portare vantaggi su svariati fronti, dalla mobilità all’ambiente al risparmio energetico, oltre che benefici alla qualità della vita delle persone. Che gli amministratori intervengano in questo processo non solo è opportuno, è conveniente”.

Alice, oltre al coworking, quali sono le altre attività in cantiere per la Casa di quartiere? 

“In stretta connessione con il direttivo del centro sociale, particolarmente aperto e collaborativo, stiamo cercando di ampliare i target, i frequentatori del centro, attraverso l’attivazione di iniziative e attività rivolte a un pubblico giovane, diciamo di trentenni, tra musica live, libri e letture per bambini, incontri.

In generale vorremmo aprire di più il centro alle famiglie, con servizi dedicati a genitori e figli, di sicuro la sfida più difficile è quella di attrarre gli adolescenti e su questo fronte lavoriamo a delle attività laboratoriali ad hoc, in ambito artistico, in sintonia con lo spirito del quartiere Gattaglio, creativo e dinamico”.


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Foto di Federico Contini per Quaderno – Comune di Reggio Emilia

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