C’è Komathy che viene dallo Sri Lanka, Kamaljit originaria dell’India e poi Esther, Rachida e Anja. Abitano nella frazione di Cella.
Hanno culture e tradizioni diverse non solo rispetto a noi ma anche tra loro.
Hanno storie e vissuti che arrivano da lontano, talvolta anche difficili da raccontare, e che le hanno portate, costrette forse, a vivere in Italia.
Hanno anche alcune cose in comune, l’una con l’altra, ma non ne sono sempre consapevoli: sono straniere, sono donne e mamme, hanno bisogno di conoscersi tra di loro per aiutarsi e avrebbero meno difficoltà se conoscessero come funziona la nostra società. Per poter vivere meglio. Ed integrarsi.
Mamme a scuola nasce così. E’ un’esperienza di innovazione dei corsi di lingua italiana per donne immigrate realizzata a partire dalle esigenze e dai problemi delle donne straniere in uno specifico quartiere e che oggi è diventato il modello di intervento per le politiche di integrazione linguistica in tutta la città.
È un’esperienza di innovazione perché abbiamo ridefinito il luogo e il modo di erogare il servizio partendo dalla rimozione degli ostacoli che impedivano a queste donne e mamme di partecipare: decentrando il corso in modo che potessero arrivarci a piedi, spingendo la carrozzina con il neonato e tenendo per mano il più grande; e dando loro la possibilità di lasciare l’uno e l’altro nella stanza accanto, con altri bimbi più o meno grandi di loro e in un luogo pieno di giochi e di volontarie pronte a farli giocare.
E’ un’innovazione anche perché, appunto, anche la comunità si è data da fare e, come sempre nella logica di Quartiere, bene comune, ha messo a disposizione risorse: la parrocchia, i locali per ospitare il corso di lingua e il doposcuola, i volontari singoli, il tempo per accudire i bimbi o per insegnare l’italiano, la Filef, la sua esperienza per garantire la competenza necessaria e il coordinamento di tutti gli attori. E infine il Comune che ha sostenuto i costi e ha reso possibile il dialogo e la messa in sinergia di tutte le risorse. Moltiplicandole, per realizzare un’esperienza di innovazione sociale e di economia di comunità.
Che cos’ha di diverso questo corso dagli altri?
“Il progetto Mamme a scuola – spiega Paolo, architetto di quartiere delle frazioni di Cella, Cadè e Gaida – nasce come occasione di incontro e conoscenza della lingua italiana. Per far sì che anche le donne che hanno figli possano partecipare, abbiamo inizialmente pensato di organizzare i corsi in orari mattutini, per consentire la partecipazione mentre i figli erano a scuola. Laddove era necessario, per motivi organizzativi prevedere delle lezioni al pomeriggio, abbiamo sviluppato una sinergia con i doposcuola organizzati sul territorio per rendere possibile alle mamme di frequentare i corsi nella stessa sede in cui i figli facevano i compiti o giocavano con altri bambini”.
Il passaggio successivo è stato quello di pensare anche a quelle mamme che hanno figli molto piccoli, non ancora in età scolare o, comunque, in età non idonea a frequentare un doposcuola. “Per questo – prosegue Paolo – è stato prezioso il contributo della Parrocchia e dell’associazione “Mattone su Mattone” che ci hanno aiutato ad allestire un vero e proprio servizio di babysitting con delle volontarie che si prendessero cura dei bimbi da 0 a 5 anni con giochi e attività a loro dedicati”.
Il progetto – gestito da insegnanti volontarie dell’associazione FILEF – è attivo dal 2009 e dallo scorso anno parte integrante e attiva dei progetti di integrazione linguistica promossi dalla RETE Diritto di Parola, è fortemente connesso alle realtà scolastiche che le donne incontrano quasi quotidianamente nell’essere spesso referenti primarie nella vita dei figli e nelle loro esperienze educative e didattiche.
“La particolarità di questa esperienza, quindi, nasce da due caratteristiche: la prossimità territoriale e l’associazione con un servizio di accudimento dei figli. In questo modo – spiega l’architetto di quartiere – abbiamo creato le condizioni affinché anche le donne che hanno più difficoltà a spostarsi, e a farlo organizzando la presenza di uno o più figli, possano frequentare un luogo di comunità, conoscere persone nuove e iniziare a prendere confidenza non solo con la lingua italiana ma anche con l’organizzazione di alcuni servizi e di opportunità sul territorio”. A seconda dei bisogni espressi dalle stesse corsiste, sono inoltre proposti incontri specifici di informazione e prevenzione, tenuti da professionisti dell’ambito sanitario, pediatrico o nutrizionista, oltre a brevi esercitazioni sulla sicurezza e sul comportamento da tenere in caso di calamità naturali o altre situazioni di pericolo.
Dove si svolge il progetto ? Che risultati ha dato ad oggi?
Attualmente, i corsi sono attivi in diverse zone della città: Canalina, Pieve, Cella, Cadè, Santa Croce, Gardenia e Centro Storico. In tutti questi luoghi – dice ancora Paolo – stiamo esportando l’idea vincente che abbiamo sperimentato a Cella: la prossimità del corso rispetto alla residenza del target e l’abbinamento ad un servizio di accudimenti dei bambini.”
“I risultati positivi di questa formula – ci spiega una delle insegnanti volontarie – sono stati subito visibili: lo scorso anno, quando il corso non era abbinato al servizio di doposcuola, la metà delle iscritte ha abbandonato dopo poche lezioni. Per loro diventava troppo complicato trovare qualcuno a cui affidare i bambini o conciliare il corso con gli orari della scuola e con i tempi di cura dei più piccoli. Inoltre, molto spesso, queste donne non hanno un mezzo di spostamento privato e si muovono a piedi o con i mezzi pubblici. Questo rende più complesso, se non impossibile, raggiungere le sedi di corsi serali che si svolgono in luoghi diversi dalla frazione in cui abitano”.
E proprio la costanza della frequenza, oltre a raggiungere la finalità di consolidare la conoscenza della lingua, ha consentito a queste donne di “fare gruppo” tra di loro. Per molte è stata un’occasione di contatto con la comunità della loro frazione, un modo per uscire di casa e fare cose insieme ad altre donne. Oggi si danno una mano l’una con l’altra, fanno incontrare e giocare i loro figli, si scambiano tempo, lavoro di cura, piccole o grandi attenzioni reciproche.
Paolo è soddisfatto ma ha ancora qualcosa da aggiungere. “E’ stata la loro stessa valutazione a darci la spinta per proseguire e anche per potenziare l’esperienza. Nell’ambito del focus group di valutazione, fatto a fine corso nel luglio scorso, queste donne hanno rilanciato: ci hanno chiesto non solo di continuare a imparare l’italiano ma hanno aggiunto, anche, il corso di cucina, quello di cucito e quello di alfabetizzazione digitale. Altre ancora, in un quartiere dove un centro sociale sta gestendo diversi appezzamenti di orti urbani, vorrebbero imparare a coltivare pomodori, bietole e zucchine.
Pensate che ci hanno suggerito, infine, come rendere circolare tutto questo: con le bietole impareranno a fare i tortelli e scriveranno il ricettario su pc, pubblicando post e foto nella loro futura, ma non tanto, pagina facebook.”
Oggi le donne che stanno seguendo questo tipo di corsi di lingua italiana sono circa un centinaio distribuite in 7 quartieri della città.
Sono donne che stanno imparando l’italiano, ma stanno anche cimentandosi con la nostra cucina, con la nostra burocrazia e anche con i nostri luoghi di comunità. Stanno imparando che si può arrivare in Italia e approdare per esempio in una città dove un centro sociale, una parrocchia, alcuni volontari, un’associazione e un progetto del Comune si impegnano per trasformare l’immigrato in cittadino, la solitudine dello sradicamento in occasioni di relazione, la fatica della diversità nella possibilità di nuove opportunità.
Per scoprire di più sulla prima esperienza del progetto è possibile consultare il link ‘Corso di alfabetizzazione per donne straniere‘.