Governo e comunità, la sfida della collaborazione a Reggio Emilia

di Nicoletta Levi*

    A Reggio piove sul bagnato Luoghi e approcci collaborativi sono particolarmente facili e, in un certo senso, fortunati, se nascono all’interno di un territorio non casualmente fertile e pronto ad accogliere la sfida dell’innovazione aperta. Partecipazione, collaborazione, civismo e capitale sociale sono caratteristiche fondative e peculiari di questa terra.

    Dalla collaborazione alle politiche per una città collaborativa – Tuttavia ‘capitale sociale’ e ‘collaborazione’ non sono acquisizioni durature ed eterne se non opportunamente coltivate, foraggiate e incoraggiate dagli attori di un territorio. Il Laboratorio Aperto di Reggio Emilia –  spazio collaborativo e di innovazione urbana che la Regione Emilia-Romagna ha promosso nei dieci Comuni capoluogo – nasce in un contesto in cui, sin dal 2015, ma in realtà anche prima, l’amministrazione cittadina aveva cercato di costruire azioni e politiche pubbliche che avessero nella collaborazione il framework interpretativo attraverso il quale incoraggiare la capacitazione delle comunità e dei cittadini per fare, insieme, progetti di sperimentazione e innovazione urbana. L’obiettivo non era solo quello di sperimentare nuove soluzioni ai nuovi bisogni ma anche rigenerare il capitale sociale, ritrovando e rinsaldando la fiducia nella collaborazione pubblico/Comune – privato/comunità e accogliere nuovi attori e nuove sinergie, anche attraverso la raccolta di storie e la condivisione di obiettivi che mettessero a valore la collaborazione e la condivisione di esperienze generative per la comunità (in questo senso si pensi al progetto “I Reggiani, per esempio”, realizzato tra 2009 e 2010).

    Il protocollo collaborativo – Quando nel 2014 si sono svolte le elezioni amministrative a Reggio Emilia non abbiamo votato il rinnovo dei Consigli e Presidenti di Circoscrizioni, poiché abolite dal 2010 per effetto di una legge finanziaria nei comuni con popolazione inferiore ai 250.000 abitanti. Da qui l’idea di realizzare una sperimentazione di decentramento e di dialogo con i territori, declinando sulle nostre esigenze e peculiarità l’approccio ai beni comuni urbani. Da qui è partito Quartiere, bene comune, un protocollo metodologico per dare vita a partenariati pubblico-privato (appunto Comune-comunità) basati sulla condivisione di obiettivi e progetti nell’ambito delle infrastrutture territoriali o dei servizi alla persona, a partire dal quartiere come luogo identitario. Si concretizza in un accordo di collaborazione in cui tutti gli attori sono co-responsabili dei risultati di innovazione e miglioramento decisi insieme, nei più diversi ambiti: usi temporanei di spazi e beni immobili pubblici,  realizzazione di spazi e reti con obiettivi di inclusione sociale e interculturale, educazione e cittadinanza, alfabetizzazione digitale, sport e tempo libero, socialità e animazione territoriale.

    Comunità di luogo e protagonismo civico Siamo in un’epoca di globalizzazione in cui i confini non esistono o, se volete, sono facilmente superabili, le nostre identità, anche nazionali, talvolta sono incoraggiate, altre volte sono scoraggiate. Eppure le persone comunque vivono e risiedono tendenzialmente in un luogo e a quel luogo possono anche sentirsi di appartenere, perché in quel luogo vivono, lavorano, crescono i loro figli, accudiscono i loro anziani… Esiste una forma e una dimensione di identità territoriale, di ‘comunità di luogo’, che non è un’invenzione né nostra né della sociologia, ma è un dato di realtà.

    Quindi l’idea era quella di partire da questa consapevolezza, da questa considerazione, per incoraggiare un dialogo tra l’amministrazione e i territori che potesse portare alla costruzione di progetti collaborativi in grado di migliorare, o dal punto di vista della dotazione dei servizi alla persona o dal punto di vista della qualità delle infrastrutture del territorio, la vita delle persone in quei quartieri.

    Una dimensione di responsabilità che incoraggia le comunità ad essere protagoniste, partner, attori, responsabili del governo, della cosa pubblica che non è scontata, non è banale neanche in un territorio come quello di Reggio Emilia, però abituato e avvezzo all’idea che alla domanda, al bisogno corrispondesse necessariamente una risposta pubblica, o che comunque il pubblico come attore importante e privilegiato della governance territoriale.

    Collaborazione e impatto sociale – Ma le risorse sono finite, nel senso che tutti facciamo i conti con risorse finite oggi più di ieri e forse domani più di oggi – auguriamoci di no, ma gli scenari non sono incoraggianti. Allora il tentativo di costruire un dialogo ci ha portato a moltiplicare le opportunità, moltiplicando le risorse. Certo, abbiamo finanziato la collaborazione e però i risultati sono stati superiori, se decidiamo – e questo bisogna avere anche il coraggio di farlo dal punto di vista della valutazione dei risultati e degli impatti – di passare scientemente dalla misurazione del costo, dell’efficienza e dell’efficacia, a misurare e incoraggiare risultati e impatti sociali, quindi se passiamo da una valutazione non solo della dimensione economica dello sviluppo o della progettazione e delle attività, ma anche ad una misurazione spostata e centrata sull’impatto sociale.

    Perché è vero che l’amministrazione di Reggio Emilia non solo si è dotata  di strumenti e regolatori nuovi che hanno consentito di aprire il dialogo e di incoraggiare le relazioni pubblico-privato, e ha dovuto finanziare le relazioni pubblico-privato, ma ha anche finanziato capitale sociale, costruzione di network, costruzione di partenariati in grado di gestire beni immobili, di gestire parchi e beni pubblici da riqualificare, di gestire servizi alla persona, di gestire hub di innovazione sociale.

    Il Laboratorio aperto dei Chiostri di San Pietro, così come i tanti altri punti sul territorio in cui nasce e si produce collaborazione, sono anche frutto di investimenti che le amministrazioni regionali da una parte e comunali dall’altra hanno fatto, decidendo di incoraggiare la collaborazione come opportunità di dialogo, diverso da quello tradizionale, tra il pubblico, il privato e no profit e anche con il singolo cittadino.

    Decentramento ed equità – Sono luoghi interessanti, producono innovazione, competitività, sviluppo, ma occorre vederne la distribuzione territoriale e incoraggiarne una distribuzione sul territorio quanto più equa possibile. Se parliamo di opportunità, non possiamo parlare di opportunità per alcuni, dovremmo piuttosto tentare di creare un sistema di opportunità per tutti, altrimenti ci accorgiamo che le opportunità sono in alcuni territori e in altri meno.

    Abbiamo problemi di disequilibrio territoriale nello sviluppo, anche in città come Reggio Emilia, ma questo non deve spaventare, anzi diventa interessante acquisire questa consapevolezza per attivare politiche pubbliche capaci di riequilibrare l’offerta sui territori.

    Coltivare la collaborazione – Altre due variabili importanti sono le competenze e le attitudini: considerato che non siamo tutti vocati alla collaborazione, bisogna incoraggiare competenze e attitudini verso la collaborazione, sapendo che possono essere apprese, veicolate. Ad esempio, Reggio Emilia sta sostenendo progetti mirati al passaggio nel Terzo settore da una dimensione solidaristica e volontaristica ad una di impresa sociale, capace di ragionare con l’amministrazione sullo sviluppo territoriale non competitivo, ma collaborativo. Ci vuole il peso di tutti gli attori del territorio per fare svolte di questa portata.

    Nuovi strumenti per l’amministrazione condivisa – In ultimo, come  dirigente pubblico, sperimento il bisogno di norme. È vero che nel 2017 è stato introdotto il codice del Terzo settore, che ha contribuito in modo decisivo ad una svolta nelle relazioni tra pubblica amministrazione e Terzo settore, rendendo possibile esperienze di co-programmazione e co-progettazione, di condivisione di poteri e responsabilità tra enti pubblici ed enti del Terzo settore, chiamati a programmare, progettare e agire congiuntamente a favore delle loro comunità, ma si avverte al tempo stesso l’esigenza di ulteriori strumenti.

    Il Regolamento del Comune di Reggio Emilia precede il codice del Terzo settore e per certi aspetti è anche molto più ‘largo’, perché inclusivo anche delle singole persone. Ma si fa fatica, nella cornice collaborativa, a includere il privato nei patti di collaborazione. La dimensione “orizzontale” di collaborazione e innovazione aperta, in cui diversi soggetti e ruoli interagiscono per obiettivi comuni è largamente scoraggiata dalle norme nazionali. La soluzione amministrativa e legislativa la stiamo studiando, ma per ora non è disponibile, la scommessa è sul tavolo e va ben oltre il tecnicismo amministrativo, riguarda piuttosto un cambiamento culturale.


    * Nicoletta Levi è Dirigente della Struttura di Policy Politiche di partecipazione e del Servizio Comunicazione e relazioni con la città del Comune di Reggio Emilia.

    Speech tenuto il 25 ottobre 2022, alla conferenza di presentazione del volume “Spazi collaborativi in azione. Creatività, innovazione e impatto sociale”, a cura di Fabrizio Montanari, Università di Modena e Reggio Emilia, Franco Angeli 2022.


    Foto Federico Contini per Quaderno

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