Il gusto del Natale…e dei cappelletti

Una mattina con Lina e le donne della Rosta

Anche per la redazione di QUADERNO è tempo di una pausa per le feste di Natale. Il 2017 è stato un anno ricco di storie, incontri, volti e racconti dai quartieri. Un anno che vogliamo chiudere con una storia che ha il sapore del Natale…e cosa c’è di meglio di un buon piatto di cappelletti, rigorosamente fatti a mano?
Li abbiamo fatti per voi con delle vere esperte: le signore del centro sociale di Rosta Nuova, capeggiate da Lina, alle prese con la preparazione del pranzo di Natale del centro. Un gruppo bello, numeroso e agguerritissimo.

30 kg di pesto, 26 kg di farina, 260 uova e 6 kg di parmigiano reggiano. Questi i “numeri” degli ingredienti abilmente maneggiati da tre tavolate di donne che “fanno su” i cappelletti, e un gruppo di addette alla sfoglia. Un colpo d’occhio suggestivo e che sa di reggianità. E poi c’è Lina, che custodisce gelosamente la ricetta del ripieno dei cappelletti ma che, sottobanco, ci ha svelato qualche trucco.

“Ve lo dico subito – ci accoglie seria Lina – se siete qua per la ricetta dei cappelletti…non la avrete. Al massimo qualche indicazione…perchè io la mia ricetta precisa non la do a nessuno”. Ed è giusto così, cosa c’è di più segreto di una ricetta della tradizione?

Lina è l’addetta al pesto. “Io i cappelletti non li so fare – ci spiega – ma la sfoglia e il pesto sì”. “E’ vero – ci conferma una sua omonima seduta ad un tavolo alle prese con un tagliere di pasta sfoglia – il pesto come lei non lo fa nessuno, ma i cappelletti lei non li sa chiudere bene”.

E a chiuderli bene ci insegna Hiwet, originaria dell’Eritrea ma esperta in cappelletti “da quando, nel ’74 – ci racconta con orgoglio – mi ha insegnato a farli una signora di Bologna da cui lavoravo. Poi mi sono trasferita a Reggio e ho imparato a fare i cappelletti alla reggiana…perchè ogni città ha la sua ricetta e la sua forma. L’importante è che quando li chiudi, li avvolgi attorno al dito e fai una forma simile a quella di un ombelico, lasciando uno spazio al centro per far sì che entri bene il brodo”. Come dire che la cucina mette insieme culture diverse e generazioni diverse. Laura e Alessia, ad esempio, sono due ragazze giovani, che si sono unite al gruppo della Rosta per mettere in pratica quanto appreso ad un corso di cucina da poco frequentato. E ad iniziare da giovani sono state in tante: “ho cominciato a fare i cappelletti – ci racconta Gemma – che ancora non arrivavo al tavolo”. “Anche io ho iniziato a 13 anni – aggiunge Marisa – e ora lo sto insegnando a mia nipote”.
Una vera e propria attività “artigianale”, insomma, che si tramanda di generazione in generazione e che, aggiungono le signore, dovrebbero essere insegnate anche a scuola per non perdere la manualità e il “saper fare” che sta alla base dell’arte culinaria e del mantenimento delle tradizioni locali.
Buoni da mangiare ma anche bellissimi da vedere, sfilano vassoi di cappelletti, tutti ordinati ed uguali tra di loro. “Ognuna di noi – ci spiega Miriam – ha il suo stile di chiusura”. E alla fine ogni vassoio, nella sua regolarità, rispecchia la diversità delle mani che lo hanno prodotto, tanto che ogni signora, davanti al tavolo imbandito che ospita i vassoi finiti, riesce a riconoscere con sicurezza il suo in mezzo agli altri. Ma guai a esaltare la regolarità del lavoro “perchè qui è tutto fatto a mano – ci spiega Lorella – e come ogni cosa fatta a mano il valore è proprio l’unicità e la differenza di ogni pezzo, non come quelli industriali”.
Simpatiche e cordiali, le “donne della Rosta” ci raccontano storie e memorie, timide davanti all’obiettivo della macchina fotografica ma poi divertite e appassionate nel raccontarci frammenti di vita mentre “fanno su” cappelletti.

Ora, come promesso, vi sveliamo qualche segreto:
“Per la sfoglia – dice Lina – usiamo solo uova buone e certificate e farina 0, la stessa marca da 10 anni. Per il ripieno, tre tipi di carne – manzo, maiale e vitello – poi si aggiunge il prosciutto crudo. Si fa bollire il tutto con gli aromi – cannella e chiodi di garofano – raccolti in una garza e si macina insieme alla fine della cottura, così non si asciuga. Ci si può mettere anche un po’ di salsiccia, che non sta mai male, e un pezzo di carne di pollo, che serve per sbiancare il ripieno perché le altre sono tutte carni rosse e scure. E poi – ci svela Lina – la mortadella si aggiunge solo alla fine prima di tritare”.
Una volta tritato, si aggiunge mezzo kg di parmigiano reggiano per ogni chilo di pesto realizzato e si mescola bene. “Poi – conclude Lina sorridendo – si fanno i “bimbi”, come li chiamiamo noi: dei rotoli di pesto che custodiamo gelosamente”.

Il segreto che posso svelarvi – ci confida Lina – è che gli ingredienti fanno la differenza. Ognuno fa le economie che vuole a casa sua ma noi, qua, usiamo solo cose buone. La carne e la mortadella devono essere di qualità: dei bei tranci e non dei ritagli o degli scarti. Il prosciutto crudo noi lo prendiamo solo di Parma e il formaggio deve essere rigorosamente 30 mesi preso al caseificio. Le uova devono essere quelle certificate e tracciate perché quelle sfuse sono tutte di dimensioni diverse”.

E adesso che ne sapete di più su come fare i cappelletti, siete pronti a tirare la sfoglia ?

Noi vi auguriamo Buon Natale e vi diamo appuntamento al 2018. Con nuove storie, nuovi progetti e….nuove ricette!

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